“Il pianto segnala a se stessi o ad altre persone che c’è qualche importante problema
che è almeno temporaneamente oltre la propria abilità di affrontarlo”
(Rottenberg, 2012)
Gli esseri umani sono le sole creature al mondo le cui lacrime possono essere provocate dai propri sentimenti e, anche senza rifletterci troppo, ci sembra ovvio che le forti emozioni causino le lacrime, tant’è che per secoli le persone hanno pensato che le lacrime si originassero dal cuore.
Piccola chicca: nel 1600, si sosteneva che le emozioni, in particolar modo l’amore, riscaldassero il cuore e bisognava che questo generasse vapore acqueo al fine di raffreddarsi. Questo vapore del cuore risaliva poi alla testa, condensandosi vicino agli occhi ed uscendo sotto forma di lacrime!
(Vingerhoets, 2001)

Ma vi siete mai chiesti perché piangiamo?
Innanzitutto, il pianto non si associa solo alla tristezza, questo è stimolato da una vasta gamma di sentimenti, come rabbia, sorpresa, commozione, vergogna, gioia… e, cosa fondamentale, le lacrime sono un segnale che gli altri possono vedere. Esistono infatti molteplici teorie che vogliono spiegare il motivo per cui piangiamo. Quella che mi piace di più sostiene che, proprio per la caratteristica di essere visibili, le lacrime danno avvio alla connessione tra esseri umani.
E in età evolutiva?
A differenza delle altre specie, l’essere umano viene al mondo privo di “equipaggiamento” per affrontare le sfide più difficili da solo e per tutto il ciclo di vita, per quanto possiamo maturare e diventare bravi a gestire emozioni e situazioni.
– Non si è mai vecchi per piangere e connettersi l’uno con l’altro insomma!
Nei bambini, quindi, le lacrime hanno lo scopo di sollecitare l’attenzione e la cura da parte delle figure d’accudimento. Pensiamo a un neonato o a un lattante: il suo pianto è spontaneo e ha imparato a farlo già nella pancia della mamma, proprio perché imita il suo, quello della mamma.

Perché un bimbo piccolo piccolo “sceglie” di piangere? I nostri cuccioli nascono molto immaturi rispetto ai cuccioli delle altre specie di mammiferi, sostanzialmente perché il nostro cervello è molto grande rispetto al corpo e non può crescere nel grembo materno più di tanto perché dovrà passare attraverso le ossa della pelvi, quelle che formano il canale del parto.
Pertanto per un bimbo che non sa ancora parlare, che non sa ancora fare gesti, direi che un segnale più adeguato perché ci comunichi che ha fame, sonno, caldo o freddo, sente che ha il pannolino bagnato o è malato, scomodo, annoiato… la natura non poteva inventarlo per farci scattare sull’attenti e porci prontamente al suo servizio!
Il significato più importante, però, a livello psicologico è che talvolta, anzi più spesso direi, il nostro bimbo piange perché si sente solo! Non sentire la voce della mamma (o di una figura significativa), il suo odore, i suoi movimenti, le sue braccia che lo sostengono e i suoi occhi amorevoli, fa preoccupare tantissimo il bimbo piccolo e, ovviamente, gli viene da piangere!
Da notare che i bambini dei paesi occidentali piangono di più di quelli dove i piccoli stanno più spesso a stretto contatto con la madre. Pensiamo alle mamme africane che portano i loro bimbi in quelle meravigliose fasce colorate.
Lasciare piangere il bambino, sì o no?
Ve lo dico subito, la risposta è no.
Il pianto di solito si risolve in qualche minuto ed il bambino ne esce calmo, ma non esiste evidenza scientifica del fatto che il pianto abbia qualche effetto positivo sulla salute e non è vera nemmeno l’idea che il pianto sia sempre seguito da sollievo.
Molti genitori credono che sia utile lasciar piangere il proprio bambino, per “insegnargli a calmarsi da solo”. Tuttavia, le conseguenze fisiche e psicologiche potrebbero influenzarli per tutta la vita poiché quando un bambino piange senza essere rassicurato dai genitori, il suo livello di stress aumenta e ciò incide sulla sua capacità di crescita e apprendimento di strategie per calmarsi e rilassarsi.
In pratica, agli occhi del bambino il mancato intervento dei genitori significa: “Puoi piangere quanto vuoi, nessuno verrà ad aiutarti” e ciò, si capisce bene, avrà un effetto importante sulle relazioni future del bambino e sul sentirsi un essere degno di consolazione, attenzione e rispetto.

Nei casi in cui l’angoscia del bambino si accentua e per qualche motivo continuerà a piangere, anche lo stato d’animo negativo dei genitori si amplificherà, e tante volte non sapranno cosa fare o come comportarsi per calmare e rasserenare il loro figlio.
Allora cosa fare?
Il ruolo più importante è giocato dalla serenità dell’ambiente di vita del bambino: più è sereno il genitore, più sereni sono gli animi tra i genitori, più sereno è il bambino. Se il genitore riesce a controllare adeguatamente le proprie emozioni di fronte al pianto e ciò che suscita in lui quel tipo di pianto, allora sarà in grado di ascoltare e capire i bisogni del bambino cercando, nella giusta misura e in modo adeguato all’età, di soddisfarli rapidamente, senza creare inutili scontri o attese snervanti, che avranno il solo esito di irritare di più il bambino e farlo piangere fino all’inconsolabile.
La Sindrome da Scuotimento
Degna di nota, si tratta di una sindrome molto grave correlata al pianto e alla gestione che ne hanno i genitori: se il mio bimbo piange a lungo, perdo la pazienza e lo prendo con forza tra le mani e inizio a scuoterlo avanti e indietro, le scosse causano delle microemorragie nel cervello o negli occhi. Gli esiti di questa sindrome sono gravissimi: danni cerebrali irreparabili, riduzione delle capacità visive o, addirittura, la morte.
Quindi, se il bimbo piange e io perdo la pazienza o non ce la faccio più, è meglio che mi allontani dal bambino e chieda aiuto. Lasciarlo piangere, in questo caso va bene, ma bisogna rivolgersi poi al pediatra e allo psicologo dell’età evolutiva, che sapranno dare le migliori indicazioni per gestire una situazione così delicata e pesante allo stesso tempo.
Cosa fare in casi estremi?
Le tecniche e gli interventi per prevenire il pianto o per riuscire a calmare un bambino che piange sono numerose e funzionano anche sui pianti che sembrano più inconsolabili. Come accennato prima, nei primi anni di vita, per prevenire il pianto inconsolabile è necessario che l’ambiente risulti sereno nella cura e nella gestione quotidiana del bambino.
Se hai un bimbo piccolo che piange spesso, hai difficoltà a gestire le tue e le sue emozioni più intense e hai bisogno di un aiuto privato e fidato, non esitare a contattarmi, insieme possiamo trovare le strategie più adeguate per uscire dalla situazione più difficile.
- Dott.ssa Annamaria Coniglio
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