Dimostra il volto, ciò che si ha nel cuore. Le emozioni, tra corpo e psiche.

“Mi tremano le gambe al buio”

“Parlare in pubblico mi fa diventare tutto rosso

“Ho un nodo in gola

Nel linguaggio comune, a chi non è mai capitato di dire delle frasi come quelle su? E in quanti non hanno compreso a cosa si riferiscono? Ognuna di queste frasi, infatti, è una metafora per esprimere ciò che accade quando si fa esperienza di una emozione e sono largamente usate per comunicare verbalmente agli altri come ci si sente dentro in risposta a qualcosa che accade fuori.

Cosa sono le emozioni?

Per prima cosa, le emozioni sono processi psico-fisiologici: perché caratterizzate da variazioni (processi) del nostro “sentire” (psico-) e modificazioni corporee (fisiologici). In altre parole, uno stimolo esterno provoca una certa reazione che si traduce in un comportamento che la persona percepisce a livello mentale e che “vede” a livello corporeo. Per esempio, uno studente universitario che tiene molto a mantenere una certa media e che ha appena dato un esame, mentre aspetta l’esito può sentire crescere la tensione a livello mentale e può sentire che le mani che gli sudano. Ecco l’attesa e come si esperisce.

Quali sono le emozioni?

Esistono diversi studi e ricerche che hanno provato a definire quali sono le emozioni e quasi tutte hanno trovato che esistono emozioni primarie o di base ed emozioni secondarie o complesse. Secondo una classificazione definita da Robert Plutchik (2001), le emozioni primarie sarebbero otto, divise in quattro coppie:

la rabbia e la paura

la tristezza e la gioia

la sorpresa e l’attesa

il disgusto e l’accettazione

Dalla combinazione di queste deriverebbero le emozioni complesse, quali l’allegria, la vergogna, l’ansia, la rassegnazione, la gelosia, l’orgoglio, la speranza, il perdono, l’offesa, la nostalgia, il rimorso e la delusione.

In pratica, le emozioni primarie sarebbero quelle necessarie all’adattamento e dipenderebbero da processi biologici mentre le seconde deriverebbero da una mescolanza delle prime poiché l’ambiente e lo sviluppo medierebbero la loro evoluzione, manifestazione ed elaborazione. Di come si sviluppino le emozioni parlerò però in un altro articolo. In questa sede basti sapere che con l’intervento dell’adulto, il bambino impara a riconoscere, regolare e gestire le proprie emozioni adeguandole al contesto e alle situazioni.

A cosa servono le emozioni?

E cosa significa che le emozioni sono necessarie all’adattamento? Ecco, agli albori dell’esistenza umana sulla Terra, le emozioni servivano a rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rendeva necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza perché, e questo è vero anche oggi, l’emozione non impiega processi cognitivi ed un’elaborazione cosciente complessa, che richiederebbe troppo tempo e una risposta poco efficace o tardiva alla situazione “trigger”, cioè emotigena, che provoca l’emozione. Davanti a un predatore più grande e più forte di lui, per esempio, l’uomo non aveva tempo di processare la situazione, elaborarla e poi decidere cosa fare, ma aveva bisogno di un modo per decidere all’istante se combattere o scappare in questo caso (è la reazione conosciuta come “fight or flight“, che è un comportamento ancestrale che ancora mettiamo in atto in situazioni percepite come pericolose).

L’ambito evoluzionistico ci informa altresì che una caratteristica importante delle emozioni fondamentali è data dal fatto che vengono espresse universalmente, cioè da tutti in qualsiasi luogo, tempo e cultura attraverso modalità simili (Darwin 1872) perché interessano gli stessi tipi di muscoli facciali allo stesso modo, indipendentemente da fattori quali latitudine, cultura e etnia (Ekman 1999).

Oggi, tuttavia, l’essere umano è un organismo di gran lunga più complesso e di conseguenza anche le funzioni emotive si sono evolute insieme a lui. Accanto all’attivazione fisiologica dell’organismo, vi sono altre componenti: la valutazione cognitiva da parte dell’individuo dello stimolo emotigeno, le espressioni verbali, cioè il “lessico emotivo” e non verbali (espressioni facciali, postura, gesti…), la tendenza all’azione e infine il comportamento vero e proprio in risposta allo stimolo.

Ricapitolando, le emozioni rivestono due funzioni:

  • quella autoregolativa, grazie alla quale si comprendono le modificazioni psicofisiologiche che stanno accadendo e si può dare un nome corrispondente a questa o quella emozione ed emettere un certo tipo di risposta (considerata più adeguata alla situazione, soprattutto in riferimento alle “regole di esibizione” che appartengono al proprio ambiente culturale e che si imparano, come dicevo prima, attraverso l’esperienza);
  • quella relazionale, attraverso cui siamo in grado di comunicare agli altri ciò che sentiamo dentro di noi e che nome abbiamo dato a questa o quella modificazione psicofisiologica;

Dove sono localizzate le emozioni?

Al di là di dove le emozioni vengono percepite (nello stomaco, nelle gambe, nel petto, in testa…), il protagonista è sempre il cervello, perché è l’organo a cui lo stimolo arriva grazie a neuroni, nervi, neurotrasmettitori, circuiti e sistemi. Esistono diverse teorie che localizzano le emozioni in una certa sede o in un’altra e, sebbene nessuno sia ancora arrivato a dimostrare con assoluta sicurezza scientifica dove si trovino, alcune di queste hanno dato i loro segnali da una zona cerebrale o un’altra. Ad esempio, una delle strutture maggiormente coinvolte nei pensieri e i sentimenti associati all’amore romantico è il nucleo striato, che è fortemente coinvolto nel “rewarding“, cioè i comportamenti che ci piacciono e che tendiamo a ripetere, e nel focus attentivo (alcune caratteristiche proprie dell’innamoramento) (Gradini, 2017). Oppure,  il sentimento della vergogna sembrerebbe stare nell’insula, un’area localizzata in profondità nel cervello (Gradini, 2017), l’amigdala medierebbe le emozioni (in particolare la paura) e la corteccia prefrontale le controllerebbe. Infine, il disequilibrio nei neurotrasmettitori cerebrali, come l’epinefrina e la norepinefrina, può generare il quadro di emozioni tipico della depressione.

L’insula in rosso

Ad ogni modo, non bisogna mai dimenticare che tutto ciò che percepiamo ed elaboriamo, “passa” attraverso le cosiddette aree cerebrali associative.

Danni ad alcune aree cerebrali, causati da malattie come un ictus, un tumore, una epilessia di lunga durata, la demenza, possono alterare la percezione delle emozioni da parte dell’individuo e portare a risposte patologiche per cui la persona può reagire in modo esagerato o invertire le emozioni (per es., piangere di fronte a una bella notizia).

Aspetti patologici.

Visto tutto quanto prima, le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nei processi cognitivi (percezione, pensiero, memoria) e giocano un ruolo importantissimo nei meccanismi di formazione dell’identità, nello sviluppo della personalità e quindi nella costruzione delle relazioni sociali

I tratti della personalità basati sull’emozione sono molto utili per definire l’identità personale: per esempio, le persone che vivono di frequente emozioni positive e raramente emozioni negative sono, con ogni probabilità, estroverse e socievoli, quelle che provano frequentemente rabbia e disgusto hanno, con molta probabilità, una personalità ostile e aggressiva e ancora gli individui che provano spesso paura, vergogna e timidezza sono, probabilmente, degli ansiosi cronici. In particolare poi, quando la tristezza costituisce l’emozione dominante in una persona che spesso sente anche vergogna, collera e senso di colpa, la persona tenderà a presentare una personalità depressiva (che è un quadro diverso dalla depressione maggiore).

Altre patologie che colpiscono le emozioni sono l’alexitimia, che è l’incapacità o l’impossibilità di percepire, descrivere e verbalizzare le proprie emozioni o quelle altrui e l’anedonia, ovvero l’incapacità di provare piacere ma che è più un sintomo di quadri patologici più complessi.

Diversi studi, infine, hanno dimostrato che le emozioni come rabbia e tristezza incidono sul sistema immunitario compromettendo la funzionalità di alcune cellule. Una vasta analisi condotta da Howard Friedman e Boothby-Kewley, in cui sono stati analizzati ed elaborati contemporaneamente i risultati di 101 studi più piccoli ha confermato come le emozioni legate alla sofferenza incidano negativamente sulla salute, sebbene i meccanismi biologici dietro questa relazione non siano ancora del tutto chiari.

Qualcosa

Lungi questo mio articolo dal voler essere esaustivo: parlare di emozioni significa davvero trattare un argomento vastissimo, che spazia dalle neuroscienze alla psicologia sociale, da quella dello sviluppo alla fisiologia perché pervadono la nostra vita quotidiana e ricoprono una straordinaria importanza nell’ambito di tutti i processi psicologici patologici e non.

Nella clinica, è generalmente accettato che le emozioni sono coinvolte nei problemi di salute mentale e nelle psicopatologie, perché malesseri possono essere causati da diversi fattori di varia natura (ormonali, mancanza di modelli di riferimento genitoriali, iperemotività, false credenze…) che si traducono in pensieri come “non bisogna far vedere agli altri le proprie emozioni“, “in questo caso dovrei sentirmi così, non così“, “far vedere le proprie emozioni è segno di debolezza“, “non posso permettermi di essere triste o arrabbiato“, “devo sempre tenere sotto controllo come mi sento“…

Tuttavia, la stessa classificazione delle emozioni come positive e negative è più una questione di convenienza che una regola della scienza del comportamento (le cosiddette emozioni negative sono anche adattative: per es., condividere la tristezza rafforza i legami familiari e comunitari, l’ira potenzia la difesa della propria integrità e della giustizia sociale e il senso di colpa incrementa lo sviluppo della responsabilità e fa nascere il desiderio di riparare gli errori commessi). Infatti, è imparare a gestire le emozioni che è una delle richieste più frequenti da parte dei pazienti: vivere un’emozione troppo intensamente o non riuscire a riconoscerla e decifrarla, oppure non riuscire a differenziare l’emozione dalla realtà e strumentalizzarle per spiegare i pensieri e le azioni può essere pericoloso se ci spingono ad ignorare i fatti oggettivi, basando l’interpretazione della realtà solo sull’informazione emotiva.

Tutto ciò che sentiamo ha un significato, un nostro personalissimo senso che ha bisogno di essere valutato, compreso, ascoltato ed elaborato perché le nostre emozioni possano svolgere al meglio ciò per cui esistono: farci adattare al meglio all’ambiente circostante, affrontare ogni tipo di situazione, per uscirne al meglio. Ma per regolare in maniera efficace un’emozione e, di conseguenza, gestirla ed elaborarla è importante innanzitutto saper riconoscere e identificare quello che stiamo provando. Se non so che emozione sto provando non posso neppure scegliere le strategie più efficaci da adottare per rispondere adeguatamente ad una certa situazione. Se non riesco a capire la causa di un’emozione non potrò neppure mettere in atto una buona analisi e risoluzione del problema che l’ha generata.

Riconoscere le emozioni è il primo passo per poter stare meglio. Parlarne con un professionista è molto utile per conoscere il proprio universo emotivo e facilitare la crescita personale e relazionale, pertanto un intervento di “psicoeducazione emotiva”, che insegni attivamente a comprendere le emozioni che stiamo provando e a capirne l’origine, può rivelarsi fondamentale.

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